Amaretto Disaronno contro Lidl. Giuliani, impresa farmaceutica famosa nel mondo per l’Amaro Medicinale, contro Swisse. Budweiser, originale birra boema, contro copia made in USA. Sino al clamoroso caso dei formaggi “Parmesan” che col Parmigiano reggiano c’entrano come i famosi cavoli a merenda. Stiamo parlando della catena di furti (più o meno) legalizzata che coinvolge milioni di consumatori e miliardi di fatturato. Una catena spesso impossibile da spezzare (chiedere ai produttori italiani i cui brand sono puntualmente clonati in Cina) e che anche in caso di esito felice costa una paccata di soldi in cause legali oltre che incalcolabili danni al fegato dei derubati.
Come ormai sanno anche i bambini di Calolziocorte, un conto è il prodotto le cui prestazioni possono essere imitate e superate, un altro è il brand. Il primo è per definizione migliorabile, sostituibile, superabile: basti pensare all’incredibile sviluppo dei motori termici. Il brand invece è come l’anima: impalpabile, incommensurabile, potenzialmente eterno. Scopiazzare un brand è l’equivalente del furto dell’anima, il motivo per cui alcune popolazione selvagge rifiutavano di farsi fotografare temendo, appunto, di perdere la loro identità segreta.
Un brand raramente è frutto del caso. E’ il figlio della creatività, della tradizione, della ricerca e di un pizzico di fortuna: la magia non si pianifica al tavolo degli ingegneri.
Secondo Philip Kotler, lo storico guru che ha allevato migliaia di marketer nel mondo, “il brand è tutto ciò che un prodotto o un servizio rappresenta per i consumatori”. Il brand è destinato a sopravvivere nella mente dei consumatori anche quando il prodotto non esiste più, perché è il frutto dell’investimento affettivo compiuto su di essi, la traccia della memoria e il ricordo di un passato che reputiamo felice. Ecco perché clonare un marchio è infinitamente più grave della pura e semplice scopiazzatura della formula di un prodotto.
L’ultimo report dell’Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale ritiene che il valore delle merci contraffatte nell’Unione Europea si aggiri intorno ai 120 miliardi di euro. Incalcolabili invece i costi delle scopiazzature compiute ai danni dei prodotti alimentari della tradizione italiana. I più bravi a difendersi? I cugini francesi: il nome champagne è protetto nel mondo meglio dell’oro conservato a Fort Knox. Una lezione per tutti noi che amiamo i brand quasi come noi stessi.
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